La Consonante K, la visionaria visione del mondo, su Crapula

Da CRAPULA.IT

A Berlino, negli anni Cinquanta, Bruno, ebreo, si trova in Germania perché il padre, Elimelek Rosenberg, è convinto che gli ebrei debbano denazificare il paese dall’interno. Elimelek, uomo bizzarro, crea un personaggio da fumetto, Shitler, che è cacca con i baffetti da Hitler, copiato anni dopo da una coppia di writers americani.
Così procede il romanzo: non una storia, ma tante storie; non un personaggio, ma tanti personaggi. Fili forti o tenui collegano alcune storie, altre storie semplicemente germinano in corso. È impossibile fornire una trama esaustiva di questo libro, come impossibile sarebbe sintetizzare Le mille e una notte.
Si tratta di un romanzo tentacolare e senza testa, un’opera che già dal titolo vuole rappresentare in un certo modo il caos del mondo: La consonante K, ossia Kaos / Kosmos / Kommunism / Kristos.
Tra i tanti personaggi – il cui numero si estende in virtù di un’appendice finale, Biografia della massa, che è una raccolta di microstorie delle comparse la cui vita è pur sempre parte di un tutto – ricordiamo un Lenin resuscitato e un Superman alcolizzato agli ultimi fuochi (il tramonto dell’America) che a un certo punto si combattono, un cane mafioso, un gruppo di giovani terroristi americani traumatizzati dal crollo delle Torri, un diavolo dalle sembianze di John Belushi, il corpo di Cristo la cui resurrezione è da tutti temuta.
Il mondo-caos rappresentato nel romanzo è caos della struttura del romanzo; solo nella parte finale – limitando in questo la prodigiosa portata labirintica del tutto – la narrazione si adegua a un andamento lineare classico, seppur sempre sorretta da un gigantismo creativo – parliamo di oltre 400 pagine di personaggi e situazioni originali, insolite, assurde, fantasmagoriche – cui, almeno in Italia, non siamo abituati.
L’autore, come malato di titanismo, sembra portare avanti una duplice sfida impossibile: forzare la finzione (sappiamo che tutti i mondi possibili sono regolati), e forzare l’idea che la realtà sa essere più fantasiosa della finzione.
Una tale inconsueta mole di storie iperboliche non può che essere retta da una mente visionaria. Ci si pone, a questo punto, una domanda: dati gli elementi storici presenti, dal crollo del muro di Berlino all’attentato terroristico alle torri, le visioni sono sorrette da una visione del mondo?
La prima impressione è che vi sia una rappresentazione fantastica della fine delle ideologie o, meglio, delle grandi narrazioni che, secondo Lyotard, erano alla base del mondo “moderno” dalle strutture forti e unitarie. È forte la tentazione di ritenere questo romanzo un fortunato tentativo postmodernista italiano. E tuttavia, l’obesità narrativa, la percezione di un approccio famelico alle storie, di un divertimento folle fine a se stesso, fa annegare la visione del mondo nell’insaziabile fame di immaginazione. Il romanzo non si presta a tesi, resiste alle interpretazioni, è volontà di liberazione esplosiva della fantasia dell’autore. C’è del Rabelais, in questo approccio, oltre che nella presenza del basso elevato a letteratura, del tono grottesco. E qua e là, disseminati a caso in quanto casuale è il mondo (il caos è il caso), ci sono pezzi anche raccapriccianti di realtà e tracce anche macroscopiche del terrore umano a supportare almeno l’illusione di una visione del mondo alla base della visione. Un tratto, raro, di Davide Morganti scrittore, la cultura religiosa, emergente in citazioni dirette e indirette, pare sollecitare ancora di più il lettore allo sforzo di interpretazione, al parallelismo, o, più banalmente, a ricondurre il tutto alla solita sfida tra il Bene e il Male. Ma il romanzo non cede: La consonante K distrae il lettore dall’uso della ragione, lo costringe a godere dell’assurdo, del vortice caotico, rifugge e scaccia il serioso ricercatore di senso.
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